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WHATSAPP O TELEGRAM DI GRUPPO IN AZIENDA? GRAZIE, MA ANCHE NO!

La comunicazione in azienda è la chiave umana, l’elemento intangibile, la benzina prodotta e usata da ogni collaboratore in grado di garantire il funzionamento dell’intero ecosistema. Affinché l’efficacia sia massima, come abbiamo già trattato in alcuni articoli precedenti, la comunicazione interna deve abbracciare tutti, e deve essere strutturata e organizzata con strumenti che siano accessibili, semplici e soprattutto rispettino rigidamente la privacy e la sicurezza delle persone.


Nonostante la mail sia ancora oggi il mezzo di comunicazione ancora più utilizzato e diffuso nelle imprese, come emerso (vedi sondaggio “Vivere l’azienda” di 1BOARD), molte aziende e professionisti, spinti anche l’emergenza pandemica, sono ricorsi a supporti di comunicazione istantanea, di chat di gruppo come ad esempio WhatsApp e Telegram.

Ma davvero questo strumento può essere funzionale per dialogare e dare supporto nella gestione dei gruppi di lavoro? Avete mai avuto il piacere di sperimentarlo?

Ecco, probabilmente la risposta la conoscerete già in termini di utilizzo, stress e confusione cognitiva. Riassumiamo allora 5 punti dove potrete trovare riscontro alle vostre riflessioni.


Analizziamole in dettaglio:

1. No privacy: per comunicare con le altre persone è necessario stabilire un primo contatto attraverso il numero telefonico del collega, cosa che spesso causa problemi di privacy specie per le persone che non dispongono di un telefono aziendale ma privato.

2. Caos comunicativo: il fluire sequenziale dei messaggi spesso accavallati e con una frequenza di trasmissione altissima generano oltre al fastidio anche un caos logico tremendo. Analogamente ai gruppi scolastici delle mamme o del calcetto si scatenano dei momenti di “emorragia comunicativa” impossibile da seguire o tantomeno governare.

3. Assenza di cronologia: se non si è sul “pezzo”, tra condivisioni e risposte ai messaggi, riuscire a mantenere il filo del discorso è difficile se non impossibile come ad esempio quando si deve reperire un messaggio di qualche giorno o settimana prima. Non esiste un raggruppamento per tema, per argomento; la lettura deve essere compiuta cercando di riordinare i messaggi disposti in un groviglio di frasi o, peggio ancora, di contributi vocali.

4. Stress da notifica: ogni momento può essere buono per ricevere una pioggia di notifiche che rappresentino anche una commistione tra le conversazioni professionali, personali o di gruppo e quelle private. Non esistendo una cesura netta quando si apre lo strumento di comunicazione necessariamente si fa fronte ad entrambe le categorie di sollecitazione. In questo senso per un versante o per l’altro spesso si tende a disattivare le notifiche per il fastidio che comportano. Ecco che in questo caso si rischia per contro di non riuscire a gestire al meglio né l’ambito professionale che quello personale.

5. Errori fatali: è capitato e può capitare di indirizzare un messaggio sensibile all’interlocutore, o peggio, ad un gruppo sbagliato. Come emerge dal sondaggio condotto da Federprivacy su un campione di circa mille professionisti e manager d’impresa italiani, uno su quattro di essi (24%) sbaglia ricevente, condividendo con amici e parenti informazioni aziendali riservate e critiche come password aziendali, dettagli delle carte di credito, dati dei clienti, piani strategici, informazioni bancarie e salariali.

La lista delle controindicazioni alle comunicazioni di gruppi con questi strumenti è evidentemente più estesa ed abbraccia anche una serie di elementi neuro psicologici che incidono sulle persone. Certo si tratta di tecnologie accessibili a tutti, gratuite in larga parte, ma che nulla hanno a che vedere con organizzazioni che hanno l’obiettivo di far circolare meglio e più fluentemente le informazioni con l’obiettivo di semplificare, non complicare, la vita ai propri collaboratori, al proprio capitale umano.

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